Sempre in queste zone, ma in luoghi non direttamente toccati dal nostro cammino, sono vissuti ed hanno operato tanti altri personaggi degni di essere ricordati. Eccone alcuni.

Beato don Luigi Lenzini, sacerdote e martire
In una vigna di Crocetta di Pavullo fu visto, alla fine del luglio 1945 un cranio fuoruscire dalla terra smossa. Apparteneva al cadavere seviziato e mezzo sepolto di don Luigi Lenzini, parroco proprio di Crocetta. La notte tra il 20 e il 21 luglio un gruppetto di gente aveva bussato alla sua canonica. Il vecchio prete, sessantenne, s’affacciò alla finestra dispiacente per non poter scendere. Era già a letto ed era stanco. Alcuni di quegli uomini, malgrado il diniego del parroco, irruppero nella canonica attraverso una finestra fracassata. Don Lenzini, malvestito come era, cercò di sottrarsi e di raggiungere la chiesa. Inseguitolo, lo presero mentre era dietro l’altare. «E adesso vieni con noi» gli dissero. «Lasciatemi vestire» pregò il vecchio prete. «No, no. Vieni così. Tanto per quel che c’è da fare non importa la tonaca». E in camicia da notte fu portato nella vigna, seviziato e ucciso. La gente ha testimoniato d’aver visto un fantasma nella notte implorare pietà. Una settimana dopo, dal terriccio smosso della vigna, fece capolino il cranio seviziato. Era un carattere battagliero questo parroco.
Don Luigi Lenzini era nato a Fiumalbo il 28 maggio 1881. Ordinato sacerdote il 19 marzo 1904, fu cappellano a Casinalbo e a Finale Emilia. Dopo il 1912, la sua vita si svolse soprattutto nel natio Appennino, prima come parroco a Roncoscaglia – dal 1912 al 1921 – quindi a Montecuccolo, fino al 1937. Parroco zelante, aveva un’anima contemplativa: non più giovane, si sentì chiamato ad entrare tra i Redentoristi, a Roma. Fu solo una breve parentesi, prima di tornare in diocesi con l’incarico di assistente spirituale nel Sanatorio di Gaiato. Nel 1941 divenne parroco di Crocette di Pavullo, nel comune di Pavullo nel Frignano, capoluogo di quell’Appennino modenese che nel 1944/45 divenne l’immediata retrovia della Linea Gotica, luogo di scontro tra le forze nazi-fasciste e le formazioni partigiane, mentre si attendeva l’arrivo degli anglo-americani. Come molti parroci, don Lenzini nascose in canonica persone braccate dagli occupanti e si prodigò per aiutare i suoi parrocchiani, di qualunque estrazione fossero. Le settimane successive alla Liberazione furono caratterizzate da scontri politici estremamente aspri: in questo contesto, don Lenzini parlava alto e forte in difesa della fede cattolica e contro l’uso della violenza. A Messa ripeteva: «Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere debbo farlo anche a costo della vita».
La fase diocesana della causa di beatificazione si aprì l’8 giugno 2011. Il 27 ottobre 2020 il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il martirio del sacerdote diocesano, servo di Dio, ucciso in odio alla Fede. Morto martire, passa automaticamente da servo di Dio a Beato.
Sabato 28 maggio, alle 16, in piazza Grande, a Modena, il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi, ha presieduto la messa di beatificazione.
Per saperne di più:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/95950
Sono 7 i sacerdoti dell’appennino modenese uccisi alla fine della seconda guerra: http://www.bibliotecapersicetana.it/node/172

Venerabili Sergio Bernardini e Domenica Bedonni, coniugi
Sergio Bernardini e Domenica Bedonni furono contadini nelle montagne di Pavullo nel Frignano. Sergio, rimasto vedovo dopo aver perso nel giro di quattro anni la moglie e i figli piccoli, si unì in seconde nozze con Domenica, che condivideva il suo ideale: formare una famiglia molto religiosa, con tanti figli da educare nella speranza che qualcuno si consacrasse al Signore. Dei dieci figli, infatti, otto presero quella strada: cinque scelsero la congregazione delle Figlie di San Paolo; una fu dapprima Orsolina secolare, poi suora Francescana Ancella del Buon Pastore; le altre due femmine si sposarono e aderirono, come i genitori, al Terz’Ordine di San Francesco.
I due maschi, invece, entrarono tra i Cappuccini. Sia ai funerali di Sergio sia a quelli di Domenica presenziò una folla enorme di fedeli e di sacerdoti. La loro causa di beatificazione congiunta si è svolta nella diocesi di Modena-Nonantola dal 20 maggio 2006 al 18 maggio 2008. Con decreto datato 5 maggio 2015 Papa Francesco ho riconosciuto l’eroicità delle loro virtù cristiane, vissute nello stato coniugale, dichiarandoli Venerabili. Dopo i Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi e i Santi Louis e Zélie Martin, sono la terza coppia nella storia della Chiesa a ricevere questo titolo.
Per saperne di più:
http://santiebeati.it/dettaglio/50600
http://www.coniugibernardini.it/biografia-.html

Venerabile Antonio Macchia, sposo e padre, conosciuto come il santo di Gombola
“Il nostro servo di Dio nacque nel 1639 da Filippo Macchia e Giovanna Alcini, genitori ricchi di fede ed anche di beni di fortuna. Antonio venne educato cristianamente e, quantunque agiato, abituato ad una vita di sacrificio.Nel 1672, all’eta di 33 anni, sposò una certa Maria Lusignoli di Monzone. Da questo matrimonio nacquero sei figli: due morirono bambini; degli altri, uno di nome Filippo si fece sacerdote ed esercitò il suo ministero prima a Polinago come cappellano e poi a Brandola come arciprete. Dopo 14 anni di matrimonio gli venne a mancare la moglie Maria. Il figlio più giovane aveva soltanto 8 anni.Consigliato saggiamente da persone vicine, Antonio si sposò di nuovo con certa Domenica Perrotti, sorella dell’arciprete di Polinago.
Nel 1694, appena cinquantacinquenne, moriva dopo avere speso la sua breve vita nel santo timore di Dio e nel lavoro. Antonio Macchia prima di morire fece testamento: l’atto autografo è conservato nell’archivio parrocchiale di Gombola. ·Fu sepolto sotto il pavimento della chiesa. A quei tempi molti, per privilegio particolare, venivano sepolti in chiesa in posto riservato. Il fatto che sia stato sepolto accanto all’altare maggiore ci induce a pensare che anche in vita abbia occupato un posto di notevole prestigio.
Per quasi due secoli il santo riposò nel sarcofago presso l’altare maggiore. L’8 Maggio 1830, dovendosi rifare il pavimento della chiesa, mentre si guastava il vecchio venne trovato il corpo incorrotto di Antonio Macchia. Erano trascorsi 136 anni dalla sua morte. Fu pure rinvenuta intatta la cappa di Confratello del SS. Sacramento che indossava quando fu inumato. L’avvenimento suscitò grande commozione non solo in Gombola, ma anche nelle parrocchie vicine.
L’urna con la salma mummificata di Giovanni Antonio Macchia fu poi sistemata in una stanza tra la chiesa e la canonica e divenne subite meta di pellegrinaggi.Più volte il vescovo e l’ufficiale sanitario fecero pressione presso il parroco, perchè i resti del Macchia fossero trasferiti nel cimitero; ma la gente di Gombola era ormai troppo legata a quel santo che, come si diceva, era stato voluto dal destino ed era tornato alla luce miracolosamente dopo due secoli di oscurità.
L’unico trasferimento si ebbe nel 1959, quando dalla chiesa parrocchiale fu portato nell’oratorio della B.V. del Carmine. Proprio in questa circostanza si attribuì al santo un miracolo“.
dal libro Gombola di Polinago di don Paride Candeli

Serva di Dio Anna Fulgida Maria Bartolacelli
Anna Fulgida Bartolacelli nasce il 24 febbraio 1928 a Rocca Santa Maria, in Provincia di Modena, da una famiglia umile.
Come la sorella Ada, nata tre anni prima, Anna non cresce come le altre bambine a causa di uno squilibrio dovuto alla mancanza di calcio nelle ossa che le procura un indebolimento dell’intera struttura ossea e, di conseguenza, numerose e frequenti fratture.
Alta solo 60 cm e affetta da nanismo e rachitismo, vive i suoi 65 anni in una piccola carrozzella come un lungo calvario, ma sempre in una gioiosa serenità senza mai far trasparire le sue grandi sofferenze. Anche l’armonia e l’affetto sincero dei familiari e degli amici le sono di aiuto. Ma sente il bisogno di dare un significato più profondo e vero alla propria vita e a questo fine prega incessantemente.
Si sente profondamente amata dal Signore e offre a Lui le sue sofferenze perché servano per la riparazione dei peccati, per la Chiesa, per il Papa, i Vescovi, i sacerdoti e per la salvezza delle anime.
“Solo col dolore, scrive, posso raccogliere una collana di perle preziose per la gloria di Dio”.
L’apostolato
C’era in lei un’ansia continua di fare apostolato: “l’ammalato per mezzo dell’Ammalato”. Andava verso i sofferenti, o gli handicappati, per manifestare la Parola del Signore, per togliere loro ogni paura e fare scoprire il segreto della felicità , a cominciare dalla vita presente, per poi raggiungere la pienezza della luce nell’eternità .
Un modello per la Chiesa di Modena
Una “piccola grande donna” è giusto definirla così, colei che fu chiamata “uno scherzo della natura”, diventa oggi per la Chiesa Modenese una perla preziosa. Sotto la guida del suo padre spirituale don Sergio Ronchetti, Anna riesce a superare i momenti di sconforto impegnandosi sempre più a “Diventare la volontà del Padre” e, nonostante i malanni, il 18 e 19 maggio organizza il Convegno diocesano dei Volontari della Sofferenza a Modena, che poi ripete ogni anno.
Anna e monsignor Luigi Novarese
A Lourdes nel 1961 Anna incontra per la prima volta Luigi Novarese durante il pellegrinaggio dei sacerdoti malati della Lega Sacerdotale Mariana e poi lo rivede a Re dove rimane conquistata dalle sue idee sulla valorizzazione della sofferenza.
Dice di lei Mafalda Gelmini nel presentarla a Monsignore: “Le dico sinceramente che Anna fa un apostolato meraviglioso nella sua sofferenza. E’ stata avvicinata da molti sacerdoti e tutti sono concordi che ha un’anima veramente bella e, con la sua semplicità e umiltà, ma con la sua grande intelligenza, riesce a portare le anime vicino al Signore.
Anna, Silenziosa Operaia della Croce
Entrando in contatto con il Centro Volontari della Sofferenza di monsignor Luigi Novarese, scopre di avere un posto ed un ruolo precisi sia nella società civile che nella Chiesa.
Nel 1964 si consacra nei Silenziosi Operai della Croce. Coglie e fa suo l’insegnamento di Luigi Novarese: “Per avere la forza di sopportare le mie sofferenze – scrive Anna Fulgida – guardo costantemente alla croce di Gesù: solo il Crocifisso spiega il significato del dolore del mondo”.
Nel suo testamento spirituale scrive: “Conservate in voi la fede: in essa troverete la forza per superare le inevitabili prove della vita. Ricordatevi che il dono della fede è grande e vi renderà contenti anche nel dolore e sappiate che esso purifica. Abbiate un cuore grande per chi soffre più di voi, perdonatemi se avete trovato in me qualche manchevolezza, sappiate però che vi ho sempre voluto tanto bene. Sappiate ringraziare Iddio delle gioie che vi concederà nella vita e come vi dissi sopra, guardate a chi soffre di più, aiutate gli altri a valorizzare il proprio dolore tramite una vita di grazia e a farne fonte di bene per sé e per i fratelli”.
La morte
Ormai quasi sorda, affetta da pericardite, Anna soffre molto.
Non si perde d’animo e s’impegna nella meditazione. Dopo un ultimo ricovero all’ospedale di Formigine, con le costole che ormai trafiggono i polmoni, la Serva di Dio muore il giorno 27 luglio 1993, all’età di sessantacinque anni.
Ai suoi funerali accorre tantissima gente e sulla sua bara, per suo espresso desiderio, è collocato il libro della Parola di Dio, al posto dei fiori.
La causa di beatificazione
Il 18 Ottobre 2008, presso la Chiesa di S. Agostino, a Modena, inizia l’inchiesta diocesana per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio Anna Fulgida Bartolacelli.
Notizie prese dal sito dedicato a Luigi Novarese